La Madonna della Cintola è una delle tante opere che non vedrete mai più nel complesso, ma non per questo meno meritevole di esser conosciuta. Intorno a questa bellissima pala d’altare si sono alternate le interpretazioni degli studiosi che l’hanno attribuita prima a Fra’ Bartolomeo, poi a Ridolfo Ghirlandaio.
Oggi, all’unanimità, tutte le attribuzioni convergono su di un unico artista: Francesco Granacci, già allievo di Domenico Ghirlandaio (il mastro pittore autore degli affreschi nella cappella Tornabuoni e mentore di Michelangelo).
Se vi chiedete dello strano nome (della cintola) è importante sapere che fin dall’antichità questo oggetto aveva già dei riferimenti simbolici particolari. Presso i Greci e Romani la cintola era indossata simbolicamente dalla donne vergini prima del matrimonio. Un simbolo della Verginità e di purezza quindi. Secondo la tradizione, la Sacra Cintola sarebbe stata consegnata dalla Madonna, al momento della sua assunzione, a San Tommaso come segno della sua benevolenza. La Sacra Cintola, chiamata anche Sacro Cingolo, è adesso una reliquia del Duomo di Prato, ed è custodita nell’omonima cappella affrescata da Agnolo Gaddi.
Lunga 87 centimetri è intessuta di lana finissima di capra, di color verdolino, broccata in filo d’oro, mentre gli estremi sono nascosti da una nappa su un lato e da una piegatura sul lato opposto.
Il tema della cessione della cintola a S. Tommaso è un’iconografia molto popolare a cavallo del Quattrocento e Cinquecento, sia in Toscana che in Italia centrale.
Il primo documento che cita la pala del Granaccci risale al 1505 in un atto di commissione da parte della Congregazione dei Santi Benedetti Bigio e in Palco che si riuniva nel cosiddetto Chiostro della Porta all’interno del complesso di Santa Maria Novella. È plausibile pensare che l’opera fosse esposta quindi al’interno del Chiostro.
Agli Uffizi sono conservati alcuni schizzi preparatori dell’opera (la testa di S. Francesco, la mano di San Tommaso).
Madonna della cintola con i Santi Benedetto da Norcia, Tommaso, Francesco e Giuliano l’Ospitaliere. Olio su Tavola, 216 x 180 cm