Uno studio di Elena Bastianini
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Il convento domenicano di Santa Maria Novella fu un importante centro religioso e culturale di Firenze, fin dalla sua costruzione, alla metà del Duecento. Nel suo cantiere si creò una stretta collaborazione tra domenicani e artisti, al fine di costruire uno spazio architettonico e visivo che esprimesse le dottrine aristotelico-tomistiche alla base dello studium domenicano. Il muro della facciata era stato innalzato già alla fine del XIII secolo, e, nel corso del Trecento, fu corredato dagli avelli mortuari, dalle porte e dal rosone. La facciata aveva dimensioni ridotte rispetto a quella attuale ed era rivestita da incrostazioni bicrome, proprie della tradizione fiorentina, fino alle arcatelle cieche che sormontano gli avelli, mentre la parte alta fu compiuta solo nella seconda metà del Quattrocento, divenendo l’unica facciata di Firenze ad essere stata completata nel Rinascimento (Fig. 1,2), fatta eccezione per la vela destra che fu aggiunta nel 1920 (Fig. 3).
(Fig. 1,2) La facciata della chiesa di Santa Maria Novella, prima e dopo l’intervento albertiano, iniziato nel 1460
(Fig.3) La facciata di Santa Maria Novella in una foto Alinari prima del 1920
Nel 1439 la chiesa di Santa Maria Novella divenne la sede, insieme alla Cattedrale di Santa Maria del Fiore, del Concilio che pose fine allo scisma tra chiesa greca e chiesa romana, un evento epocale, non tanto per l'unione che si rivelò effimera, ma perché i patriarchi riportarono la cultura greca in occidente, fornendo impulso alla nascente cultura umanista e diffondendo il sogno di una religione filosofica universale che rileggesse, alla luce del cristianesimo, l'ermetismo e il platonismo greco. A quell’incontro era presente pure Leon Battista Alberti, futuro architetto della facciata e al tempo giovane abbreviatore apostolico, formatosi tra Padova, Venezia e Bologna. L’Alberti aveva una concezione altissima dell’arte, come mezzo per superare la condizione mortale dell’uomo ed era stato profondamente colpito dalle invenzioni di Brunelleschi e degli altri artisti del primo Quattrocento fiorentino. Fu uno dei personaggi più eclettici del Rinascimento italiano e nel corso della sua vita scrisse un trattato sulla pittura, uno sull’architettura e uno sulla scultura per ridare lustro a queste arti, che credeva morte rispetto ai gloriosi tempi dei greci e dei romani (Fig.4).
Il cantiere della facciata fu aperto nel 1460 sotto il patrocinio di Giovanni Rucellai, il cui stemma era la vela gonfiata dal vento, che rappresentava la sua fortuna come mercante di commerci marittimi con l’Oriente e che negli anni 60 unì la sua famiglia a quella Medici grazie al matrimonio tra Bernardo e Nannina (Fig 5,6,7). A quel tempo il tema dell'unione era tornato attuale nel Corteo dei Magi, dipinto da Benozzo Gozzoli in Palazzo Medici nel 1459, dove veniva trasposto l'arrivo dei greci al Concilio di Firenze (Fig.8)
Questi magi-bizantini sono seguiti dai più illustri partecipanti del primo Concilio e della Dieta di Mantova, indetta da Pio II nello stesso 1459, per propugnare una nuova crociata contro il nemico turco. In questo cammino i personaggi del tempo sono presentati come successori della cultura greco-bizantina, mentre sul soffitto della scarsella splende lo stesso sole che svetta nel timpano della facciata di Santa Maria Novella (Fig.9).
Nel 1462 Cosimo de’ Medici fece fondare dal medico galenico, Marsilio Ficino, l’Accademia Platonica, col sogno di creare una filosofia religiosa che vedeva in quel sole, immagine di dio, l’origine di tutte le cose. Firenze voleva divenire così la nuova Gerusalemme e lo stesso Giovanni Rucellai fece costruire, sempre su progetto dell’Alberti, una copia del San Sepolcro gerosolimitano, con forme che richiamano l’oriente e hanno un’incredibile affinità stilistica con le incrostazioni marmoree della facciata (Fig.10,11).
Una cultura nata dal Concilio che cercava una concordatio tra il sapere occidentale ed orientale e a cui partecipò pure l’anziano Alberti, ricordato da Ficino come membro dell’accademia e che, nel 1471, un anno prima della sua morte, portava Lorenzo il Magnifico in visita per le antichità romane, che egli aveva studiato tutta la vita.
L'Alberti, riprendendo la definizione aristotelica, scriveva che la natura è movimento, essendo questo il principio di tutto quello che è in vita. L'arte allora, dovendo seguire la natura deve imparare a rappresentarne il moto, così da creare immagini tanto verosimili da far dell'artista quasi un Dio, secondo una visione demiurgica dell'arte ripresa dalla tradizione ermetica. Nel De Re Aedificatoria dell’Alberti gli edifici sono presentati come corpi da costruire secondo le stesse regole che normano la natura, in modo da divenire essi stessi esseri viventi.
Il video vuole mostrare come nessuna tarsia della facciata sia casuale, ma posta in una successione che suggerisce il movimento. Se smetteremo di guardare le sue tarsie come a silenti monumenti del passato, vedremo che il registro superiore rappresenta, attraverso la figura geometrica della circonferenza, il movimento circolare, simbolo del divino e dell’eterno (Fig.12).
Sul timpano troviamo il sole col volto di Gesù bambino (Fig 13,14), dai cui raggi nasce e cresce un giardino di forme geometriche che rinascono in eterno grazie al suo moto circolare. Il sole viene rappresentato come principio universale di vita, del resto fin dagli antichi era considerato padre di tutte le cose terrene e per i Cristiani divenne l'immagine sensibile più vicina a Dio, divenendo nella cultura quattrocentesca espressione della continuità tra queste due tradizioni (Fig. 15,16).
Nella parte bassa il movimento invece o sembra ingabbiato negli archi ciechi sulle tombe o suggerisce la violenza del vento di tempesta nelle vele. Abbiamo visto che queste sono il simbolo della fortuna dei commerci marittimi del Rucellai, ma al tempo si sapeva che la Fortuna, governatrice della vita umana, è variabile e imprevedibile e se può essere propizia come un vento in poppa può anche essere distruttiva come un vento di tempesta. Tuttavia, in questa difficile condizione terrestre l'uomo trova una possibilità di movimento nell'ampio portone centrale finemente lavorato, che lo invita ad entrare all'interno.
Sui suoi stipiti esterni sono scolpiti racemi carichi di fiori e frutti: la bellezza e la varietà della natura accompagna l'uomo nell'entrare nel tempio degli dei, nido di delizie per l'Alberti, che deve suscitare nell'uomo quella tranquillità d'animo necessaria a ricondurlo alla sua origine divina e, al contempo, quell'autorità dovuta all'altissima funzione civile che detiene, in quanto fondamento della giustizia e quindi della pace sulla terra.
Le forme della facciata acquistano senso solo se riusciamo a decodificare ciò che l'immagine suggerisce, ma non esplicita. L'uomo, che per l’Alberti non ha la possibilità di accedere alle verità ultime della natura, può solo conoscere attraverso le sue cangianti manifestazioni, che, attraverso la vista, si imprimono come immagini nella memoria. Da qui l’importanza di creare forme che sintetizzano significati complessi o verità non direttamente accessibili all'uomo, come facevano i geroglifici egiziani o i detti pitagorici. In particolare, nella decorazione degli edifici religiosi, definiti nel De Re Aedificatoria come la dimora terrena della divinità, egli darebbe vita a delle vere e proprie rappresentazioni dell'ordine cosmico adatte a risvegliare nell'uomo la scintilla divina capace di condurlo verso la virtù e la ragione. Così l'Alberti, dagli anni Cinquanta, si impegnò in diversi progetti di edifici religiosi dalle forme sempre differenti, perché modellate sui frammenti delle antiche costruzioni del luogo, ma capaci, in ogni loro parte strutturale e ornamentale, di suggerire nell'animo umano «mera philosophia». La facciata d’altronde non è un caso isolato, ma possiamo trovare negli edifici religiosi fiorentini di quegli stessi anni molte affinità stilistiche e di pensiero come nella Cappella Pazzi o quella del Cardinale del Portogallo (Fig. 17,18).
GUARDA LA CONFERENZA DEL 27 GENNAIO 2018 SULL'ARGOMENTO
(Fig. 4) Ritratto di Leon Battista Alberti con l’occhio alato, placchetta bronzea, Washington, National Gallery of Art, 1435ca
(Fig.5) Ritratto di Giovanni Rucellai, 1540ca
(Fig.6) Stemma Rucellai, particolare, Facciata Santa Maria Novella
(Fig.7) Bernardo Rucellai e Nannina de' Medici sulla nave della Fortuna, acquaforte su rame, seconda metà del sec. XV ,Berlin, Staatliche Museen, Kupferstichkabinett
(Fig. 8 ) Benozzo Gozzoli, particolari del Corteo de’Magi e della scarsella con il sole, Cappella de’Magi, 1459ca, Palazzo Medici Riccardi, Firenze
(Fig. 9) la scarsella con il sole, Cappella de’Magi, 1459ca, Palazzo Medici Riccardi, Firenze
(Fig. 10) Tempietto Rucellai, San Pancrazio, Firenze
(Fig.11) Tempietto Rucellai, San Pancrazio, Firenze
(Fig. 12) L’elemento circolare nella parte alta della facciata
(Fig 13) Il volto del sole sulla facciata di Santa Maria Novella a confronto con il volto di Gesù bambino di Michelozzo
(Fig14) Il volto del sole sulla facciata di Santa Maria Novella a confronto con il volto di Gesù bambino di Michelozzo
(Fig. 15) Affreschi scarsella con la volta del cielo con il sole nello Zodiaco , Sacrestia Vecchia, Chiesa di San Lorenzo
Chiaro splendor e fiama relucente Sopra tutte altre creature bella
Di te considerar manca ogni mente Di te parlar ven meno ogni favella
O luce che alumini la gente
Nobile sei più calcuna altra stella
Tu rendi al mondo figura de dio
Più che altra cosa al parer mio:
O sole o cossa sola singulare
Che ne mesuri el tempo i questo modo E ralegri la terra laria el mare Quando rivegion tuo viso iocundo Ben che nessuna vista po guardare Per li toi ragi in quel corpo rotundo La virtù tua ogni cossa produce Stendendo giù per la tua chiara luce
Perfecta più che alcuna altra figura E la figura splendida la quale Non ha principio o fine i sua mesura Questa esimilitudini eternale
Non se po maculare loa sua luce pura
Per cossa corruttibile e mortale
A tutte cosse dai generazione Principio fine e varia conditione
(Fig. 16) G. Dati, De Sphera, Biblioteca Laurenziana,Firenze, particolare del sole col viso iocundo e della lode al sole
(Fig. 17) Cappella del Portogallo, San Miniato al Monte, Firenze
(Fig.18) Cappella Pazzi, Chiesa di Santa Croce, Firenze, Cupola e volte vennero terminati solo nel 1459 e il portico nel 1461, come indicano le iscrizioni rispettivamente nel tamburo e sulla volta esterna